Vita, Carriera, Opere e mostre di Alberto Burri
Alberto Burri (Città di Castello, 12 marzo 1915 – Nizza, 13 febbraio 1995) è stato uno degli artisti più radicali e innovativi del XX secolo, capace di trasformare la materia in linguaggio, il gesto in forma, la lacerazione in poetica. La sua opera, difficile da incasellare in categorie tradizionali, ha anticipato e influenzato profondamente molte tendenze dell’arte contemporanea, dal Neo-Dada all’Arte Povera, dall’Informale europeo all’arte concettuale. Burri si laureò in medicina a Perugia nel 1940 e prestò servizio come medico militare durante la Seconda guerra mondiale. Fatto prigioniero dagli americani in Tunisia nel 1943, fu internato in un campo di prigionia in Texas.
Fu proprio lì, negli Stati Uniti, che cominciò a dipingere: un inizio segnato da isolamento, riflessione e un distacco forzato dal mondo reale. Al ritorno in Italia nel 1946, abbandonò definitivamente la professione medica per dedicarsi all’arte, portando però con sé una sensibilità per la materia organica e la ferita che avrebbe segnato tutta la sua produzione. L’opera di Burri è un attacco diretto all’idea tradizionale di pittura. A partire dagli anni '50, abbandona la pittura a olio per esplorare materiali concreti, poveri, usurati o industriali: sacchi di juta, legno, ferro, plastica bruciata, cellotex, catrame, tessuti cuciti o strappati.
I "Sacchi" (1949-1956), realizzati con tele cucite, rammendate o bruciate, diventano uno dei suoi cicli più celebri. In essi, il gesto non è più solo pittorico ma chirurgico, fisico, crudo: cuciture e suture rimandano al corpo umano, alle ferite della guerra, ma anche alla possibilità di ricomposizione. L’opera è oggetto vivo, materia che respira, soffre, si decompone o resiste. Segue poi una serie di cicli: i "Legni" e "Ferri", dove il metallo viene tagliato, saldato e ossidato i "Combustioni", in cui la plastica è bruciata direttamente con il fuoco i "Cretti", con crepe bianche su superfici screpolate i "Cellotex", superfici di fibra compressa che divengono tela autonoma Ogni materiale ha un suo significato, una sua voce, e Burri non cerca di dominarlo, ma di dialogare con la sua resistenza.
L’arte diventa così azione sulla materia, non rappresentazione. Sebbene venga spesso associato all’Informale, Burri si distingue per un approccio più misurato, quasi architettonico. Le sue composizioni sono spesso rigorose, geometriche, persino minimaliste. La distruzione non è mai caotica, ma contenuta da una logica interna, da una volontà compositiva silenziosa e potente. Il colore, spesso limitato a nero, rosso, bianco e ocra, è un ulteriore elemento di rigore. In Burri, il fuoco e la combustione non sono espressione di violenza irrazionale, ma strumenti di trasformazione estetica. Burri ha esposto nei maggiori musei del mondo.
Alcuni momenti chiave: 1955: Biennale di São Paulo 1960: Mostra personale al Solomon R. Guggenheim Museum, New York 1978: Retrospective al Museo Nazionale d'Arte Moderna, Centre Pompidou, Parigi 1989: Antologica al Palazzo delle Esposizioni di Roma 2015-2016: Grande retrospettiva al Solomon R. Guggenheim Museum, New York, in occasione del centenario della nascita Nel 1994 ha ricevuto il Premio Feltrinelli per le Arti, uno dei maggiori riconoscimenti culturali italiani. Dopo la sua morte, è stata istituita la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, a Città di Castello, che conserva centinaia di sue opere. Una delle opere più emblematiche della sua poetica è il "Grande Cretto" (1984-2015), realizzato sulle rovine della città siciliana di Gibellina, distrutta dal terremoto del 1968. Qui, Burri ha trasformato un luogo di morte in monumento alla memoria, colando cemento bianco a formare un’enorme ragnatela di crepe che segue le vie originali del paese. È un’opera ambientale, concettuale e spirituale, che unisce paesaggio, scultura e architettura. Alberto Burri ha saputo trasformare il gesto artistico in un atto di resistenza, ricucendo la ferita del mondo con stoffa, ferro e fuoco.
La sua ricerca ha anticipato molti temi oggi centrali: il rapporto con il corpo, l’uso di materiali extra-pittorici, la memoria come spazio plastico, il ruolo dell’artista come “chirurgo della realtà”. In un’epoca in cui l’arte rischia di farsi sempre più immateriale, Burri ci ricorda che la materia ha una voce, una storia, un dolore e una forza che vanno ascoltati e trasformati.
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